Sfogo di una triestina: in viale Romolo Gessi parolacce e dita medie dai bambini

Sfogo di una triestina: in viale Romolo Gessi parolacce e dita medie dai bambini

Una passeggiata in via Romolo Gessi, a Trieste, si è trasformata in un episodio che ha lasciato amarezza e indignazione. Una donna racconta di aver ricevuto insulti e gestacci da un gruppo di bambini di circa 9 o 10 anni, mentre i genitori, seduti a un tavolo della pizzeria Ariston, avrebbero assistito senza muovere un dito.

Parole e gesti che colpiscono

Secondo la testimonianza, i bambini avrebbero più volte urlato parolacce e insulti pesanti, accompagnandoli con gesti offensivi. “Ho chiesto ai genitori se fossero figli loro, mi hanno risposto di sì ma senza scusarsi né intervenire. Un genitore dovrebbe essere il primo a dare l’esempio e a richiamare i figli, non a restare in silenzio”, ha spiegato la donna, profondamente colpita dal comportamento dei presenti.

Una serie di episodi preoccupanti

La cittadina ha ricordato anche altre situazioni simili: offese ricevute durante le passeggiate con i cani, bambini che disturbano nei supermercati danneggiando prodotti, piccoli che siedono sugli autobus con scarpe sui sedili mentre adulti o anziani restano in piedi. Tutti episodi che, a suo avviso, raccontano una mancanza di educazione e rispetto.

Il ruolo decisivo dei genitori

La donna non accusa i bambini in sé, ma i genitori: “Io mi vergogno più per loro che per i figli. Se un adulto tace davanti a certe parole, di fatto le legittima. Un tempo una sgridata era normale, oggi sembra che tutto venga concesso”.

Riflessioni sociologiche: la crisi dell’autorità educativa

Questi episodi pongono interrogativi più ampi sul cambiamento sociale in atto. La famiglia, un tempo principale agenzia educativa, oggi sembra aver perso parte del suo ruolo di guida. Spesso i genitori, per timore di conflitti o per mancanza di tempo, preferiscono non intervenire, lasciando ai figli una libertà che può trasformarsi in assenza di regole.

La società contemporanea esalta l’individualismo e l’autonomia, ma senza un’adeguata educazione al rispetto dell’altro, questo può sfociare in atteggiamenti aggressivi o di disprezzo verso le regole condivise. Quando i bambini imparano che le parolacce non vengono punite, o che i comportamenti scorretti non hanno conseguenze, rischiano di crescere convinti che la maleducazione sia accettabile.

L’impatto sul vivere civile

Dal punto di vista sociologico, episodi come questo non sono soltanto “piccoli incidenti di maleducazione”: minano la qualità della vita pubblica e il senso di comunità. Se in uno spazio condiviso – la strada, il supermercato, l’autobus – prevale il disordine e manca il rispetto, la convivenza civile diventa più fragile.

Il richiamo della triestina non è quindi solo uno sfogo personale, ma il riflesso di un malessere diffuso. Una comunità funziona quando i suoi membri si riconoscono reciprocamente diritti e doveri: senza questa base, il rischio è quello di una società frammentata, dove prevale l’indifferenza.

Un messaggio che invita a riflettere

Oggi non esiste rispetto né educazione. Io mi vergogno più per i genitori che per i bambini, perché sono loro i primi responsabili”, ha concluso la donna. Il suo sfogo diventa così un invito a non abbassare la guardia sul tema dell’educazione: non solo un compito della scuola, ma prima di tutto una responsabilità familiare e collettiva.