Fulzio Zorzut: «Vaccino anticoronavirus obbligatorio? Anche no»

Pubblichiamo da  dott Fulvio ZORZUT Medico Epidemiologo Specialista in Igiene e Medicina Preventiva
 
“Con l’eccezione della potabilizzazione dell’acqua, non esiste nessuno strumento, neppure gli antibiotici, che abbia avuto un maggiore effetto sulla riduzione della mortalità e quindi sulla crescita della popolazione” ( Plotkin, 1994  )
 
 Il processo per sviluppare e mettere in commercio un nuovo vaccino  richiede generalmente tempi lunghi perchè deve sempre prevalere il principio di massima precauzione. Normalmente il tempo minimo previsto è di 18-24,mesi.
 
Attualmente non si sa quanto duri la persistenza dei titoli anticorpali IgG nei guariti, ne la loro effettiva capacità immunogena e quindi se la risposta al futuro vaccino potrà essere duratura,
 
Ciò detto:
 
Nel 2020 è corretto introdurre una vaccinazione di massa per 60.000.000 di abitanti, avendo ridotto i tempi dei passaggi necessari per garantire ed escludere i possibili effetti collaterali e le reazioni avverse ed in presenza di dubbi importanti per quanto riguarda la sua efficacia e durata nel tempo?
 
Una premessa storica.
 
 Nel 1806, il Ducato di Lucca emanò il primo obbligo della vaccinazione universale antivaiolosa. I Vaccination Acts inglesi del 1840, 1841 e 1853 resero la vaccinazione universale , gratuita ed obbligatoria. Gli Acts successivi introdussero la coercibilità da parte dei Vaccinations Officers
 
Nel 1898 ci fu l’abolizione dell’obbligo vaccinale nel UK.
 
Ricapitoliamo, la vaccinazione antivaiolosa venne introdotta come obbligatoria nell'UK, ma con una lungimiranza e preveggenza,  già nel 1898
 
 era stato tolto l'obbligo delle vaccinazioni evidentemente stimando la capacità della popolazione di esercitare autonomamente la capacità critica, se effettuarla o meno, nel nome della libertà della scelta individuale.
 
 
 
 
 
In Italia bisogna arrivare al 1939, per iniziativa del Fascismo, per assistere alla prima vaccinazione obbligatoria nazionale, quella antidifterica, e a seguire, nell'Italia repubblicana, nel 1966 avvenne l'introduzione di quella antipoliomielitica, nel 1968 quella contro il tetano e nel 1991 la vaccinazione contro l’epatite B.
 
Ovviamente si parla di vaccini collaudati e largamente impiegati di cui si conoscevano aspetti positivi (molti) e negativi (pochissimi), a fronte di decessi ed invalidità presenti nelle popolazioni pediatriche delle famiglie di tutti i livelli sociali, che inducevano una naturale ed ampia adesione..
 
Infatti se le evidenze epidemiologiche delle malattie diventano meno evidenti, l'opinione pubblica tende a sottostimare il rischio, e quindi diminuisce la collaborazione nei confronti delle misure preventive, salvo riprenderla in corso di epidemia, sotto la spinta emotiva dettata dai ricoveri e dai decessi..
 
Per il Coronavirus l'’obbligo sarebbe una scelta errata e comunque prematura che andrebbe ad impattare su una opinione pubblica disorientata e a questo punto anche sospettosa, distinta tra l'altro anche in fasce di età a rischio differente.
 
 Un conto è imporre un vaccino collaudato, perché manca una piccola frazione di popolazione per raggiungere l’ immunità di gregge, come nel caso del Morbillo ad esempio, altro è proporlo ad una popolazione contraria o scettica.
 
Attualmente un sondaggio USA rileva che circa il 50% delle persone sembra contrario o indifferente alla sua somministrazione.
 
Quindi perseguire il 50% della popolazione per far rispettare una norma di legge sarebbe destinato al fallimento. Sarebbe un obbligo molto difficile da far rispettare.
 
È importante intraprendere una strada di persuasione, facendo capire la situazione di emergenza in cui ci troviamo e nel contempo le autorità regolatorie dovranno fornire ampie garanzie di sicurezza, risultato di rigorosi studi preliminari sul campo.
 
In conclusione parlare a livello politico di come utilizzare un vaccino ancora non disponibile, sembra utile solo a creare polemiche inutili e a disorientare l'opinione pubblica.