Dati Censis: crolli delle nascite, ricerca di nuovi spazi e valorizzazione del territorio

Roma, 3 dicembre 2021 – Il futuro che non nasce. Il numero di nati sta pericolosamente scendendo anno dopo anno sotto la soglia dei 400.000. La contrazione registrata dal 2015 è a doppia cifra per tutte le regioni, a eccezione del Trentino Alto Adige. Tra il 2019 e il 2020 e il trend è continuato. A livello nazionale sono il 3,9% in meno i nati, arrivando a toccare il -4,6% nelle regioni del Nord-Est, tra le più colpite dalla prima ondata della pandemia. A diminuire di più sono le nascite nei territori in cui la circolazione del virus è stata più forte: Lombardia -5,5%, Toscana -4,8%. Ma anche i territori più periferici e le regioni più piccole, come Molise (-11,2%), Valle d’Aosta (-7,8%), Sardegna (-6,9%), Umbria (-5,9%) e Basilicata (-5,0%). Le ultime previsioni demografiche restituiscono un quadro a tinte fosche. Entro il 2050 in tutta Italia la quota degli ultrasessantacinquenni salirà fino al 34%. Si avrà un aumento ancora più significativo nel Mezzogiorno, che passerà dal 26,4% del 2030 al 35% del 2050, diventando così l’area più senilizzata del Paese. Il 55,3% degli italiani imputa la principale causa dell’inverno demografico alla difficoltà di trovare una occupazione stabile, mentre il 38,4% sottolinea che le giovani donne che fanno figli sono penalizzate nella carriera professionale.

Quando torneremo alla nostra normalità? La pandemia è stata un grande processo di sospensione. Dal marzo 2020 le famiglie italiane che avevano maturato un progetto di cambiamento (lavorativo, formativo, abitativo, finanziario), ovvero circa 6,5 milioni di famiglie, sono state costrette a procrastinarlo, rimodularlo o annullarlo. Torneremo alla normalità? Con riferimento alla scuola e all’università, più di due terzi degli italiani (il 67,2%) ritengono che ci vorrà meno di un anno per tornare alle lezioni in presenza. La maggior parte dei cittadini (il 56,3%) pensa che in meno di un anno ci si sposterà senza nessuna restrizione e verrà archiviato l’uso delle mascherine e il distanziamento interpersonale. In ambito lavorativo, invece, per il 41,8% della popolazione occorrerà più di un anno per tornare alla normalità e una quota pari al 17,1% è convinta che non si tornerà mai alla situazione pre-pandemia.

L’uso temporaneo degli spazi urbani: la spinta della pandemia. La pandemia ha comportato un’esplosione di nuove destinazioni d’uso provvisorie degli spazi all’interno delle città. Si è affermata l’esigenza di stare all’aperto: dai gazebo davanti alle farmacie alle pedane e ai dehors allestiti all’esterno di bar e ristoranti. Ma il ricorso più eclatante agli usi temporanei arriva dalla campagna vaccinale, che è stata realizzata attrezzando in poco tempo caserme, palazzetti dello sport, centri commerciali, fiere e aeroporti, musei. L’emergenza ha dimostrato come la sovrabbondanza di superfici improvvisamente svuotate, specie nel settore terziario, e la necessità di reperire ampi spazi per svolgere le attività sanitarie, potessero trovare una semplice soluzione attraverso l’esperimento degli usi temporanei di spazi e immobili urbani.

Il lavoro da remoto come fattore di rimodulazione delle gerarchie territoriali e dell’uso dello spazio urbano. La transizione verso lo smart working non riguarda solo la produttività e i rapporti di lavoro, ma coinvolge spazi e beni di uso privato e collettivo all’interno delle città. Il 37,8% degli italiani dichiara di avere riscoperto il proprio quartiere e gli esercizi di prossimità. Il telelavoro favorisce il ribilanciamento tra i luoghi urbani: si svuotano i grandi quartieri impiegatizi e si ripopolano le periferie. E favorisce il rimescolamento delle persone nei luoghi (si pensi al south working) o alla competizione delle città e dei territori per attrarre i lavoratori digitali che operano da remoto. Senza trascurare la rivincita delle seconde case: oggi l’11,1% degli italiani è tornato a utilizzare immobili prima trascurati (tra i residenti delle grandi città la percentuale sale al 21,5%).

La dimensione di prossimità nel governo locale. L’emergenza sanitaria ha incoraggiato la riscoperta della prossimità. Sono diminuiti gli spostamenti verso le aree centrali della città a vantaggio della vita di quartiere, dei negozi di vicinato e degli spazi aperti, come parchi e piazze. Le elezioni amministrative di ottobre hanno registrato un inatteso boom di candidature nelle grandi città. Solo a Roma si sono presentati 22 candidati alla carica di sindaco e 38 liste, che rimandano complessivamente a oltre 1.600 candidati al consiglio comunale. Numeri elevatissimi si registrano anche a Milano (13 candidati sindaco, 28 liste, più di 1.100 candidati consiglieri), Torino (13 candidati sindaco, 30 liste, più di 1.000 candidati consiglieri) e Napoli (7 candidati sindaco, 31 liste, più di 1.100 candidati consiglieri). Alla massa dei candidati ha fatto da contraltare il perdurare del calo della partecipazione elettorale. Al primo turno, proprio nelle città dove c’è stato un boom di candidature, la partecipazione si è ridotta alla metà degli aventi diritto.

Intenzionalità e innovazione nella valorizzazione turistica dei territori periferici. In un periodo caratterizzato da un boom delle destinazioni turistiche nazionali e da una forte centralità della dimensione dell’outdoor, vanno segnalate le esperienze che cercano di dare nuove prospettive ai contesti montani esterni ai circuiti più rinomati. Si tratta di progettualità che cercano di rendere più attrattivi ambiti naturali montani di qualità, ma non di primo piano in termini di notorietà, grazie all’introduzione di elementi capaci di innovare le tradizionali modalità di fruizione. Due sono gli obiettivi perseguiti. Intercettare il «turismo dell’adrenalina verde», introducendo elementi artificiali fuori dall’ordinario, ma adatti a un vasto pubblico per offrire agli utenti una esperienza inedita di fruizione della natura. E sfruttare la risonanza di tali impianti fuori dall’ordinario per amplificare la notorietà di località ancora poco conosciute, creando così un indotto turistico stabile. Rientrano in questa nouvelle vague di fruizione di ambiti naturalistici montani i parchi avventura, le diverse tipologie di ponti a fune, l’infrastrutturazione per alcune pratiche innovative come il canyoning.

( Fonte foto: ilriformista.it )