Una storica comunità triestina: i Serbi
Pubblichiamo dal lettore Sergio Lorenzutti
"SERBI, ovvero Illirici.
Nel 1630 – Ferdinando II° e nel 1691 – Leopoldo 1° concessero libertà religiosa ai Serbi scappati dai turchi.
1751 – con un prestito dell’Imperatrice Maria Teresa di Fiorini 12.000 inizia la costruzione della chiesa dell’ Annunziata e di S.Spiridione.
Il 20 febbraio 1751 ricevono con patente imperiale di M.T. la libertà di movimento dentro e fuori l’impero.
1753 inaugurazione della chiesa.
Tra il 1772 e 75 la Nazione Illirica vide la fondazione della prima scuola di lingua serblica in Europa ( eccetto per Ragusa Dubrovnik ) per merito del serbo Giovanni Miletich.
1780 – Dopo baruffe con i greci per la supremazia della liturgia, ecc. Vennero dal Governo riconosciuti come migliori ma i greci non ne vollero sapere e se ne andarono dalla chiesa aprendo una cappella per loro stessi.
1781 - Patente di Tolleranza religiosa da parte dell’ Imp. Giuseppe 2°
1782 è la data della separazione delle 2 comunità ortodosse, la greca e la Serba. Il problema principale era l’uso di 2 liturgie diverse ed incomprensibili all’altra comunità.
Tutto l’isolato dove sorge la chiesa di S. Spiridione è di proprietà della comunità serba.
Sono proprietari di vari edifici di pregio in città. Possedevano anche una banca che funzionò fino alla crisi del ‘29 nonostante la guerra fattale dal regime fascista. Erano ottimi commercianti specialmente per il legname ed il bestiame. Hanno una prerogativa che ancor oggi noi cattolici non possediamo e fu cosa splendida sentire cosa disse il nostro Archimandrita al patriarca di Belgrado durante l’ultima guerra dei Balcani.
Sempre, la sempre poco lodata sovrana Maria Teresa dette alla Comunità dei Serbi il privilegio di nominare dei loro rappresentanti, una specie di consiglio di amministrazione dei laici. A questo Consiglio dette il potere e la discrezione di usare i fondi della Comunità anche senza l’autorizzazione dell Archimandrita.
Per finanziare Arkan di cui aveva benedetto le nozze, il Patriarca di Belgrado a caccia di denari per l amico Arkan venne a Trieste a mungere. L’Archimandrita rifiutò ogni aiuto e il Patriarca lo minacciò di scomunica se non sganciava. Allora l’ Arciprete gli mostrò il decreto di Maria Teresa, mai modificato e sempre valido, e gli disse di rivolgersi al Consiglio della Comunità. Questi signori negarono ogni possibilità di dare denari al patriarca che se ne andò con la coda tra le gambe senza poter dare a nessuno la scomunica.
Oggi i nostri Consigli parrocchiali per gli affari economici non hanno questo privilegio perchè il soggetto giuridico della parrocchia è solo il parroco al quale aspetta dare il placet per ogni qual si voglia spesa.
La chiesa presenta un meraviglioso gioco di prospettiva trasformando irregolari forme geometriche in rombi perfetti alla nostra vista, merito del pittore lombardo Giuseppe Bertini e si appoggia con le fondamenta su una fitta serie di piloni ben piantati nella melma delle vecchie saline.
Anche i serbi hanno la loro eroina, si tratta di Darinka triestina che divenne principessa del Montenegro.
La città godette di molti lasciti da parte della seconda generazione di sebri, ovvero da quelli entrati in Trieste dopo l’occupazione francese di Napoleone. Essi contribuirono notevolmente allo sviluppo dell’emporio marittimo.
Nata nel 1836 il 19 dicembre Darinka ( Donatella ) era la settima figlia di Marco Kvekich uno strraricco mercante di Castelnuovo di Cattaro e di Elisabetto Catterina contessa da Mirkovich. La descrizione della nostra eroina quando era diciassettenne dice che aveva lo sguardo altero, di media statura ma non di eccezionale bellezza. Parlava parecchie lingue oltre il serbo/croato, il francese, il tedesco e il dialetto triestino. Alla sua nascita Trieste aveva una popolazione attorno ai 50.000 abitanti che nel 1774 anno della scuola dell’obbligo istituito da M.T. era di circa 10.000.
L’11 gennaio 1855 a Cetigne si unisce in matrimonio con Danilo I dei Petrovich-Njegos principe regnante del Montenegro. Il padre le dona in dote 100.000 Fiorini mentre la madre le dona 50.000. Amore a prima vista, gran felicità per la coppia principesca ma purtroppo di breve durata perché il marito muore sparato pochi anni dopo nel 1860.
Uno sguardo su alcune famiglie serbe ed alcuni fatti storici che legano Trieste ai serbi:
Il conte Vojnovich comperò la villa Haggicosta che oggi è in dotazione dell’Aias ( giovani con gravi handicaps ) che si trova per vie legali reciprocamente con il Comune che recentemente hanno attirato l’attenzione pubblica su questo palazzo dall’indubbia bellezza architettonica che è sita in quel di San Vito vicino al centro meteorologico..
Ma quando venne costruita la Villa? E chi in realtà era Haggiconsta, prima che la sua dimora divenisse sede di una successione di enti statali italiani?
Inizialmente quei terreni appartenevano alla famiglia Vojnovich, prima che passassero alla famiglia dei Demetrio. La figlia Elena, il cui padre era quel famoso Antonio Giovanni di Demetrio, andò in sposa a un commerciante di origini greco-russe, Giorgio Haggiconsta, noto per i grandi possedimenti immobiliari a Mosca. E fu questo Haggiconsta a commissionare, quale sontuosa dimora, la Villa tuttora esistente che prevedeva la scuderia, la rimessa, la lavanderia, i muri di cinta, una serra (fissazione del tempo), un cancello d’ingresso e un portone secondario. La felicità per la nuova casa fu tuttavia di breve durata, perché presto divenne evidente come il Haggiconsta soffrisse di gravi problemi mentali.
Proprio nell’occasione del’onomastico della moglie Elena, il 18 agosto, mentre ferveva il ricevimento degli ospiti, Giorgio Haggiconsta si ritirò nella sua camera da letto, armò il cane della sua pistola e si sparò nelle cervella. La vedova si ritirò allora a Capodistria con una delle figlie. Sono entrambi sepolti presso il cimitero serbo-ortodosso, perché Haggiconsta aveva a suo tempo “rotto” con la comunità greca di Trieste.
Villa Haggiconsta non possiede la raffinatezza e la maestria architettonica di altre dimore principesche di Trieste, dalla Necker, a Murat, a Economo. Eppure le sue stesse dimensioni, così come la solidità dell’intera costruzione, frutto di un progetto di Ruggero Berlam, la rendono un piacevole esempio delle ville del tempo. Quanto non seppe emulare nella grazia, superò nella grandiosità.
Oltre all’edificio padronale e ai locali già nominati – tutti progettati da Berlam, lavanderia compresa – c’era in origine un parco con vialetti e un “viale cavallerizzo”.
L’edificio principale presenta la particolarità di avere una pianta assimmetrica, la quale però considerata nel suo insieme risulta equilibrata e razionale. Immaginando di essere un gabbiano, si vola dall’alto della torre con loggetta-belvedere, scendendo lungo la facciata di Viale Romolo Gessi,
Nel 1804 Kara Djorje che soggiornava a Trieste andò a combattere vittoriosamente per la liberazione della Serbia dall’ occupazione turca. Fu l’iniziatore della dinastia dei Karageorgevich.
Nel 1914 l’ Austria ordinò di levare il tetto in piombo della chiesa dei Serbi a Trieste per farne proiettili.
Il primo novembre 1918 Vucetich o Vucetic’( figlio di un comandante bocchese del Lloyd Austro Ungherese ) con un equipaggio raffazzonato prende il largo dal porto vecchio su un torpediniere classe T.B.3 che sventolava 2 bandiere, quella serba e quella italiana. Erano le 5.20 di mattina e procedeva per Venezia per chiamare gli italiani. Pier Paolo Vucetich era tenente di fregata della marina austriacae a bordo aveva il tenente di marina Polacco ritenuto spia austriaca doppiogiochista. All’arrivo a Venezia lui el’equipaggio vennero bendati per non vedere le protezioni dell’arsenale militare. Erano scortati da 4 torpediniere italiane che li bombardano mentre dall’alto aerei militari li tenevano di mira. Con l’uso dell’altoparlante il Vucetich riesce a convincere l’ammiraglio Rota a farlo salire sulla sua nave. Cessano i bombardamenti e vengono scortati nell’arsenale militare di Venezia.
Per 36 ore il Polacco ed il Vucetich vennero torchiati perché non credono che Trieste fosse rimasta senza guarnigione militare austriaca. Poi scortati da di 4 T.B.3 della marina Croata, che sventolavano la bandiera della marina militare croata, oggi spacciate per italiane. L’Austria invece già a fine ottobre aveva passato le consegne della sua flotta alla costituenda Marina dell’appena nato Regno di Serbia, Croazia e Slovenia. Informazione non data alla nostra Marina Militare prima del 3 novembre. Ciò spiega la confusione mentale del Rizzo nella Baia di Bucari quando affondò per sbaglio la Santo Stefano non più austriaca ma dei novelli cobelligeranti del Regno dei Serbi/Croati/Sloveni che innalzavano la nuova bandiera della Marina Militare Croata. ( la memoria di tale folle gesto che procurò svariate decine di morti tra i marinai croati è del Tenete di Vascello von de Kapelski ) Ma lui ed i suoi di notte e sotto acqua cosa potevano vedere? La mancanza di informazione del Comandi Supremo della Marina Militare Italiana fu fatale a qualche centinaio di innocenti marinai croati.
Gli italiani arriverannoil pomeriggio del 3 novembre al molo San Carlo in pieno assetto di guerra con 300 bersaglieri stipati sull’ incrociatore Audace, il Grado rimarrà al largo finchè non riceverà la notizia ufficiale che a Trieste non c’era l’ombra di soldati nemici.
I Gopcevich
Sono i costruttori del penultimo palazzo scendendo il canale a destra. L ultimo è “ el grata nuvoli” ora delle Generali. Doveva essere un grattacielo per l’epoca di almeno 7 piani. Ma stava sulla visuale del castello di S.Giusto in direzione gallerie di Grignano, quindi per motivi militari venne accorciato per esserlo di nuovo rielaborato nei 2 piani alti perché l’edificio sprofondava. Infatti se guardate il livello sul piano stradale vedrete che è per metà almeno sotto tale livello. Allora per renderlo più leggero usarono la polvere di carbone per fare le pareti interne. Questo fatto fu una palla al piede delle Generali quando pensarono di ammodernare gli spazi interni ad uso uffici. Le norme anti incendio obbligarono ad abbattere tutte le pareti ed in sicurezza trasportare il materiale di risulta in discarica autorizzata. Era la prima volta che ci si trovava in una simile situazione non esistendo discariche del genere. Poi con costi notevolmente superiori al previsto e tempi infiniti riuscirono a completare lo restyling interno.
Ma veniamo ai Gopcevich ed al loro palazzo che ostenta una facciata stile Palazzo Ducale a Venezia.
L’opera è del arch. Giovanni Berlam che iniziò i lavori nel 1850.
Nel 1921 diverrà sede dalla Assicurazione Danubio che rifarrà la facciata in stucco veneziano con delle cappe che rappresentano le onde del Danubio.
Nel 1928 subentrerà la Cassa Marittima Adriatica e nel 1998 passò al Comune che lo dedicò a Civico Museo Teatrale Carlo Schmidl.
Sulle 4 statue nei conchiglioni di sono 2 teorie o forse 3:
- alcuni sostengono che si tratti di 4 nobili serbi:
Conte Zrinuski e moglie
Conte Kristofer e moglie
Ma i più dicono invece che: siano rappresentati gli eroi di Kosovo Poljo ovvero della eroica, quasi mitologica battaglia del Kosovo Bitka ( campo dei merli ) combattuta strenuamente e persa il 15 giugno 1389 ( giorno di S. Vito ) che vide 24.000 serbi/ungheresi contro 60.000 turchi:
- il Principe Lazzar Grasljanovich con la moglie Milica
- il comandante Milos Obilic
- un’anonima crocerossina un’ antesignana della Nightingale della Guerra della Crimea di 5 secoli dopo.
Qualcun altro invece sostiene che si tratti del Principe Lazzarus e di sua moglie e di 2 divinità mitologiche dei serbi.
Ritorniamo alla integrazione alla parte relativa ai Serbi che ora mi pare più che doverosa.
Vi ricordate della Darinka Kvekich di Trieste che andò in sposa al Njegus del Montenegro? Ebbene fu per questo motivo che il re del Crna Gora Pietro Petrovich Njegos venne a Trieste ben 3 volte e nel 1844 scrisse un’ Ode alla città intitolata “Tre giorni a Trieste” . Venne ritratto dal nostro Giovanni Tominz. Il sovrano salutò Trieste così: “ Vanne, t’avanza sul tuo cammino/ Giovin cittade, popolo beato/lunghi progressi ti serbi il fato “.
Altri letterati ebbero contatti con la città come il riformatore della lingua serba Vuk Stefanovich Karadzic e Dositej Obradovich celebre scrittore che visse alcuni anni da noi e sposò la “triestina” Sofia Teodorovich figlia di ricco e noto commerciante serbo. Ma anche alcuni russi vennero ad abitare qua come A. Kajsarov e A. Turgenijev.
Fu il Maestro Francesco Sinico nel 1840 che musicò la Messa in musica gregoriana, come la chiamiamo noi, ma che è serbo/orientale, l’ultimo canto mantra che ci rimane da una lunga e lontana tradizione musical canora. Il coro della Chiesa di S. Spiridione è da sempre stato un eccezionale esempio di questa tradizione. Qui vorrei ricordare una mia felice esperienza di guida: accompagnavo un coro di Varese e quando li presentai all’ Archimandrita Radovich che venne a trovarci di sua sponte. Lui saputo che erano un coro li invitò a cantare lì su 2 piedi perché giustamente disse: nella Casa del Signore e in Paradiso ci sono i cori angelici e quindi il canto è cosa sacra che da gioia al cuore. Si sfogarono con impeto in alcuni pezzi con l’approvazione del Parroco che li invitò a ritornare e magari combinare una serata di corri assieme a quelli della Comunità Serba.
I triestini aiutarono la comunità serba a sostenere in patria la lotta contro i Turchi. Anche G. Garibaldi vi aderì, la sua corrispondenza e foto autografata sono conservati nel’archivio della Comunità."