Ricorre oggi il 47esimo anniversario del Trattato di Osimo, Unione degli Istriani 'Giornata di Lutto'
Pubblichiamo da Unione degli Istriani
'la storia italiana è contrassegnata da una serie di eventi che non è possibile rimuovere dalla memoria e dalle coscienze civili: da un lato, per gli effetti immediati di natura politica ed economica, e dall’altro per le conseguenze che, unitamente alle loro matrici, vanno a determinare sugli orientamenti decisionali e sullo spirito collettivo, senza dire di quelle sui destini delle persone direttamente coinvolte. Il Trattato di Osimo non fa eccezione, né potrebbe essere diversamente, perché ha costituito una novità assoluta nella storia delle relazioni diplomatiche: non era mai accaduto che uno Stato sovrano rinunciasse alla sovranità su una quota importante del proprio territorio senza alcuna contropartita, come accadde nella fattispecie.
La firma ebbe luogo 47 anni or sono, precisamente il 10 novembre 1975, da parte del Ministro per gli Affari Esteri della Repubblica Italiana, Mariano Rumor, e del suo omologo jugoslavo Milos Minić, in un clima di frettolosa segretezza motivata da ragioni di opportunità che intendevano nascondere alla pubblica opinione un evento non certo accettabile sul piano giuridico e men che meno su quello etico-politico. Non a caso, alla vigilia della firma si registrarono le clamorose dimissioni dell’ambasciatore Camillo Giurati, responsabile ministeriale per la regolamentazione delle frontiere e delle acque territoriali, in segno di protesta per essere stato tenuto all’oscuro di tutta la vicenda. Anche questo non era mai accaduto.
Con Osimo e con la successiva ratifica, avvenuta dopo un anno e mezzo, l’Italia decise di trasferire alla Jugoslavia la sovranità statuale sulla cosiddetta Zona «B» del Territorio Libero di Trieste: una realtà giuridica che, pur essendo prevista nel trattato di pace, non era mai stata costituita in soggetto politico con adeguati atti formali e con le conseguenti statuizioni normative. Al riguardo, basti dire che le parti non si sarebbero mai accordate nemmeno sulla nomina del Governatore. C’è di più: la precedente linea di demarcazione con la Zona «A» divenne confine di Stato introducendo un’ulteriore modifica a favore della Jugoslavia che prevedeva il trasferimento alla Zona «B» di Albaro Vescovà, Crevatini e frazioni minori, sacrificando qualche migliaio di residenti, e costringendoli a prendere le vie dell’esilio in aggiunta ai 350.000 che li avevano preceduti dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, segnatamente nel primo decennio post-bellico.
Complessivamente, con il Trattato di Osimo venne ceduta alla Repubblica Federativa Jugoslava tutta l’Istria Nord-Occidentale ad eccezione di Muggia, in aggiunta alla perdita molto più ampia del 1947 comprensiva di Fiume, Zara e degli altri distretti istriani: in pratica si riconosceva la sovranità di Belgrado sul territorio di parecchi Comuni importanti come Buie, Capodistria, Isola, Pirano, Umago e Cittanova.
Naturalmente, la responsabilità politica, al di là dei pur giustificati dubbi sulle reali competenze dei plenipotenziari italiani guidati da un alto dirigente del Dicastero dell’Industria, Eugenio Carbone, fu soprattutto del Governo, e con esso di Camera e Senato che votarono l’adesione preliminare, e poi la legge di ratifica, sia pure con diffuse e motivate sofferenze di cui restano testimonianze probanti, ed in qualche caso persino toccanti, negli Atti parlamentari.
E vi è pure una responsabilità morale da attribuire a due organizzazioni di esuli che contribuirono - la cosa è davvero mostruosa - alla cessione della Zona «B» a Tito, attraverso il voto (ed il non voto) dei loro dirigenti che la rappresentavano come Deputati e Senatori in Parlamento e negli enti locali: la Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD) e l'Associazione delle Comunità Istriane, entrambe teleguidate dalle diverse correnti della DC.
La storia non è “maestra di vita” come si usa affermare con un’espressione piuttosto abusata, perché altrimenti non si commetterebbero, spesso con pervicacia, gli stessi errori del passato.
In tutta sintesi, l’Italia del 1975 non era più quella che aveva subito il «diktat» ma nonostante le diverse condizioni politiche ed economiche era rimasta subordinata agli interessi delle grandi Potenze Occidentali, ed in primo luogo degli Stati Uniti, che continuavano a considerare la Jugoslavia alla stregua di un opinabile bastione anti-sovietico: tutto ciò, senza comprendere che la Repubblica Federativa contava soltanto sul carisma personale di Tito, e che l’età avanzata del Maresciallo avrebbe consentito, in tempi non lunghi, di riaprire la questione adriatica a tutto vantaggio del Governo di Roma."