Porto Vecchio, il caso del giovane morto in un magazzino: «Nessuno dovrebbe morire da solo»

Porto Vecchio, il caso del giovane morto in un magazzino: «Nessuno dovrebbe morire da solo»

La notizia del ritrovamento del corpo senza vita di un ragazzo algerino di 22 anni all’interno dei magazzini occupati al Porto Vecchio di Trieste ha suscitato sgomento e interrogativi. Il giovane, secondo quanto riportato, è stato scoperto da un connazionale quando le operazioni di sgombero erano sostanzialmente concluse. Un fatto che, al di là delle dinamiche ancora da chiarire, riporta al centro un tema che da anni attraversa la città: quello della marginalità invisibile.

Il comunicato di Elisa Moro (Sinistra Italiana)

In una nota diffusa pubblicamente, Elisa Moro, segretaria di Sinistra Italiana (AVS) Trieste, parla di una “profonda contraddizione” tra il linguaggio ufficiale e la realtà dei fatti. “In queste ore sentiamo ripetere parole come ‘presa in carico’, ‘accoglienza’, ‘rispetto della dignità e dei diritti delle persone’ – scrive Moro – ma la realtà ci restituisce l’immagine di un giovane che muore in un magazzino abbandonato”. Una distanza tra dichiarazioni e concretezza che, secondo la segreteria di SI, non può essere derubricata a incidente.

“L’invisibilità è scelta, non destino”

Uno dei passaggi più significativi del comunicato riguarda il concetto di invisibilità. Per Moro, chi vive in un edificio fatiscente ai margini della città non è “scomparso per caso” dalle priorità istituzionali. È, piuttosto, il prodotto di procedure che “considerano le persone come numeri da spostare, problemi di ordine pubblico da gestire, corpi da allontanare dalla vista della città”. Una presa di posizione che punta a contestare la narrazione emergenziale e a richiamare responsabilità politiche e amministrative.

Richiesta di chiarezza sulle operazioni

Sinistra Italiana chiede che venga fatta piena luce sulle circostanze del decesso e sulla gestione delle operazioni di sgombero. Secondo la segretaria, una ricostruzione trasparente è “il minimo dovuto a chi non può più parlare”. Non si tratta, precisa, di cercare un capro espiatorio, ma di affrontare il tema strutturale: le politiche che portano a rendere invisibili le persone, costringendole a vivere e morire lontano dal campo visivo della città.

Un caso che interroga la città

La frase conclusiva del comunicato riassume la posizione politica: “Il vero cambiamento inizia quando decidiamo che nessuna vita può essere sacrificata per rendere più ordinata la superficie delle nostre città”. Le parole di Moro invitano a spostare lo sguardo oltre la cronaca, per aprire una riflessione sul modo in cui Trieste affronta – o non affronta – i luoghi fragili e le persone che li abitano.