Rotta balcanica: la realtà dei respingimenti in Bosnia

Da settimane, nell’area di Bihać, in Bosnia, dopo la chiusura e l’incendio della tendopoli di Lipa, migliaia di giovani afghani, iracheni, pakistani, siriani, africani, da anni bloccati lungo la rotta balcanica, vagano nei boschi e nelle campagne, rischiando la morte per stenti e assideramento. Una realtà di cui ancora si parla troppo poco e riguardo la quale proponiamo la testimonianza di Vane T., studentessa di medicina presso l’Università degli Studi di Trieste, appena tornata da Bihać:

 

«Sono tornata ieri sera da Bihać e non so ben spiegare a parole cosa mi abbia lasciato questa breve ma intensa esperienza: sicuramente tanta amarezza, ma è riduttivo. 

È vero quando si dice "Se non vedi, se non ci sei dentro non capisci a pieno ciò che sta succedendo". 

 

Il team di cui ho fatto parte (e di cui spero, farò ancora parte in futuro) ha prestato soccorso a circa duecento profughi provenienti maggiormente dall'Afghanistan presso una vecchia fabbrica abbandonata dove hanno trovato rifugio. C'era la neve, l'aria era gelida: alcuni indossano solo le ciabatte da mesi. Le condizioni sono terrificanti ed è un eufemismo: queste persone sono denutrite, tante sono malate e per la legislazione del paese NON possono essere soccorse, tanto che il nostro intervento è stato veloce e nascosto, con la paura che potesse arrivare la Polizia bosniaca da un momento all'altro. 

 

Immaginatevi, un ragazzo di 18 anni che proviene da Kabul (dove c'è la guerra), che dopo aver attraversato a piedi l'Iran, la Turchia, la Bulgaria, la Serbia, fino in Bosnia, a 500km da Trieste, a pochi kilometri dalla Croazia -dove andiamo a trascorrere le vacanze in estate-, si ritrova bloccato, in mezzo alla neve, senza cibo, senza vestiti, senza acqua, senza riscaldamento, costretto a vivere in vecchi garage e a fare un fuoco con la plastica, perché trovare la legna è difficile. 

 

Queste persone sono NESSUNO agli occhi dei paesi e della legge, non hanno neanche un nome: questo non permette loro nemmeno di recarsi in ospedale, vengono respinti.

Le condizioni igieniche sono per forza disastrose, abbiamo individuato un focolaio di scabbia e un ragazzo, a forza di grattarsi, si è tolto la carne dalle caviglie. 

 

Un altro ragazzo ha probabilmente la Sifilide, un altro l'Epatite (è itterico e ha la febbre alta), un altro ha il gomito rotto perché la polizia croata durante un pushback lo ha picchiato, un altro ancora è stato accoltellato venti giorni fa e molto probabilmente morirà (18 anni, 18). Perché? Perché queste persone sono nessuno. Sono tutte situazioni che in ospedale potrebbero essere gestite o almeno controllate. È vivere questo?».

 

Intanto in regione Rete DASI Fvg ha annunciato uno sciopero della fame a staffetta, iniziato due giorni fa, domenica 17 gennaio. Un gesto che vuole essere un messaggio rivolto all’Italia, che si estenda a livello nazionale per denunciare la politica di respingimento dei migranti.