Le Iene a Trieste: dal confine balcanico ai magazzini del Porto Vecchio, dove il freddo uccide
È andato in onda martedì 16 dicembre 2025, su Italia Uno, il servizio de Le Iene che ha riportato Trieste al centro di un racconto duro, scomodo, impossibile da ignorare. Un racconto che parte da una morte, quella di Hichem, 32 anni, trovato senza vita all’interno di una struttura abbandonata, ucciso dal freddo. Una morte che diventa simbolo di una condizione più ampia, che riguarda centinaia di richiedenti asilo bloccati ai margini della città.
Porto Vecchio, rifugio di fortuna e simbolo del paradosso
Le immagini scorrono tra i magazzini dismessi del Porto Vecchio, enormi fabbricati affacciati sul mare, abbandonati da anni e oggi trasformati in dormitori improvvisati. Qui, racconta il servizio, dormono ammassati decine di ragazzi, uno accanto all’altro, nel tentativo di scaldarsi. Materassi di fortuna, coperte consumate, fuochi accesi per sopravvivere. Un luogo che diventa rifugio non per scelta, ma per mancanza di alternative.
La fila davanti alla questura, ogni giorno la stessa attesa
L’inviato Nicola Barraco ha seguito alcuni di loro, facendo la fila insieme ai migranti davanti alla questura di Trieste, per capire cosa accade prima e dopo quell’attesa. Le immagini mostrano una trentina di persone in coda, numeri che il servizio sottolinea non essere tali da giustificare mesi di rinvii. Eppure, dopo ore di attesa, solo pochi vengono fatti entrare. Gli altri tornano indietro, con un foglio in mano e una data cancellata e riscritta più volte: marzo, maggio, tra sei mesi.
La legge e la realtà, due binari che non si incontrano
Nel servizio viene ricordato come la normativa italiana stabilisca che le domande di asilo debbano essere registrate entro tre giorni lavorativi e che l’accoglienza debba essere garantita immediatamente, ancora prima della formalizzazione. Ma la realtà mostrata dalle Iene è un’altra: ragazzi che, pur avendo diritto all’accoglienza, restano mesi in strada, sospesi in un limbo amministrativo.
La rotta balcanica e l’arrivo a Trieste
Le testimonianze raccontano viaggi lunghi e durissimi: Turchia, Bulgaria, Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia, fino al confine italiano. Sentieri battuti a piedi, confini attraversati di notte, documenti spesso persi o sottratti lungo il cammino. Arrivati a Trieste, la speranza di trovare protezione si scontra con richieste burocratiche che diventano ostacoli: passaporti mancanti, cellulari distrutti, appuntamenti rimandati.
Non solo Trieste: una tragedia che si ripete
Il servizio allarga lo sguardo anche al resto del Friuli Venezia Giulia. A Pordenone, pochi giorni prima, un altro richiedente asilo è morto di freddo. A Udine, dieci giorni fa, due corpi sono stati trovati in un casolare abbandonato, uccisi dalle esalazioni di monossido di carbonio mentre cercavano di scaldarsi. Episodi diversi, ma legati dallo stesso filo: la mancanza di un’accoglienza tempestiva.
Il ruolo del volontariato, ultimo argine
In questo scenario, a offrire un minimo di sollievo restano le associazioni di volontariato, che aprono centri diurni, distribuiscono pasti caldi, offrono un luogo dove lavarsi, pregare, giocare a carte o semplicemente sedersi al caldo per qualche ora. Ma la sera, dopo la cena, il ritorno ai magazzini è inevitabile. Con temperature che scendono fino a 3 gradi, anche l’ironia diventa una forma di resistenza.
“No human life”: la frase che chiude il cerchio
Tra le immagini più forti del servizio, restano le parole di uno dei ragazzi: “This is not life, no human life”. Una frase semplice, pronunciata in inglese, che racchiude il senso dell’intero racconto. Il contrasto tra l’immagine dell’Italia come “good place” e la realtà vissuta nei magazzini del Porto Vecchio diventa una ferita aperta, mostrata senza filtri in prima serata.