Giorno del Ricordo: l'esodo giuliano-dalmata raccontato al Magazzino 18 (FOTO E VIDEO)
Il Magazzino 18 cambia (nuovamente) casa, e anche volto.
A partire da marzo 2021 fino a settembre 2021 l'IRCI (Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata, con sede in via Duca d'Aosta 1) si è incaricato del trasloco delle masserizie degli esuli istriani con destinazione il secondo piano del Magazzino 26, inaugurato ufficialmente il 28 settembre 2021.
Un riallestimento che ha avuto non solo l'obiettivo di ricreare l'impatto emotivo che coglieva i visitatori una volta messo piede al 18, dove tutti gli oggetti erano impilati in modo precario e in sfavorevoli condizioni ambientali, ma anche quello di dare nuova vita ad esso, donando alle masserizie più visibilità, spazio e dignità, così da creare un legame più saldo e profondo che affonda le proprie radici nella Storia.
La data del 10 febbraio 1947 rappresenta uno spartiacque per la comunità giuliano-dalmata, divenuta poi Giorno del Ricordo formalmente riconosciuto solo nel 2004. Infatti, in quell'occasione l'Italia firmò il trattato di pace di Parigi e con esso la totale cessione dell'Istria, Quarnero e Dalmazia alla Jugoslavia - compresa la città di Pola, fino ad allora enclave italiano sotto il GMA (Governo Militare Alleato) -.
Ma in realtà l'esodo giuliano-dalmata iniziò già a partire dal 1943, da quando, oltre ai militari e ai soggetti politici compromessi, cominciarono a sparire anche le persone più comuni, come pescatori, contadini, insegnanti, guardie forestali e artigiani, accomunati dal semplice fatto di essere italiani e dunque rappresentando un ostacolo al sogno di Tito per una Jugoslavia unita.
L'unica cosa che restava da fare era quindi scappare oltre confine e rifugiarsi in quella che all'epoca era per gli istriani la sola patria esistente, l'Italia sotto la quale erano nati e alla quale sentivano di appartenere.
A pagare il prezzo della sconfitta fu proprio la comunità istriana-fiumano-dalmata, additata come traditrice sia nel caso scappasse sia che rimanesse nelle proprie terre, vista come accaparratrice del pane e del lavoro degli italiani nella Penisola o, al contrario, come assoggettata al regime titino.
L'esodo istriano non è dunque un fenomeno definibile soltanto come post bellico bensì si prolunga fino agli anni 70 e 80 del secolo - per la precisione, nel 1976 chiude il centro raccolta profughi di Padriciano, il più grande di Trieste -.
A darne un'esaustiva e ammirevole spiegazione, la dottoressa Giovanna Penna, collaboratrice dell'IRCI.
"L'immagine che meglio presenta l'esodo giuliano-dalmata è quella che noi come Istituto definiamo una bestia a tre teste - titolo, tra l'altro, dell'intervento che si è tenuto alla sala Bartoli del teatro Rossetti l'8 febbraio e condotto dal direttore dell'IRCI, Piero Delbello -.
La prima testa rappresenta le foibe, l'intimidazione, il terrore, la violenza fisica e la morte. Il termine 'foiba' però non si riferisce esclusivamente alle cavità carsiche che corrono per metri e metri di profondità, dentro le quali le persone venivano gettate nella maggior parte dei casi ancora vive", spiega, "ma con 'foiba' ci riferiamo anche a tutte le altre vittime che hanno avuto la medesima sorte con metodi e in luoghi diversi ma altrettanto cruenti".
La seconda testa della belva è invece l'immagine dell'esodo di massa che si verificò dal 1947, quando, con la firma del trattato di pace, furono resi disponibili da Pola tre piroscafi - tra cui si ricorda il 'Toscana' - al fine di assistere e facilitare lo spostamento degli esuli e con essi anche di tutte le loro masserizie.
"Una volta arrivati in Italia, gli esuli venivano smistati nei CRP (Centri di Raccolta Profughi) sparsi lungo la penisola, nonché in ex strutture dismesse come fabbriche, manicomi o prigioni", continua la collaboratrice dell'Istituto, "e, di conseguenza, i loro mobili e oggetti venivano immagazzinati nei porti di arrivo. Tutto ciò che è Magazzino 18, ora 26, è quello che resta di tutti gli oggetti che non vennero mai ritirati o ai quali si dovette rinunciare e che noi ancora oggi siamo riusciti a salvare tra tutti i vari spostamenti effettuati nell'arco dell'ultimo ventennio, prima dal Magazzino 22 al 26, poi dal 26 al 18, e adesso nuovamente dal 18 al 26".
La terza e ultima testa della bestia dell'esodo, la peggiore, rappresenta lo smistamento nei CRP, testimoniata da chi vi ha vissuto anche per più di un decennio, come ad esempio la signora Fiore Filippaz.
"Lì a Padriciano per la prima volta gli italiani imparano la parola 'box', perché era esattamente dove vivevano, cubicoli di quattro metri per cinque ricavati all'interno di lunghe baracche dove si viveva anche assieme a sconosciuti, seguendo il ritmo scandito delle file: file per la doccia, per i bagni, per la mensa", racconta la dottoressa Penna, "i centri di raccolta sono la testa peggiore perché portano alla morte di una società, e se una società muore è come se non fosse mai esistita".
Moltissimi i casi di alcolismo, suicidio, depressione, pazzia, e di un lento lasciarsi morire poiché "non aveva più senso vivere".
E una volta che le persone facevano ritorno nella società, essa le rigettava perché gli istriani, fiumani e dalmati erano l'assegno della sconfitta, e purtroppo ancora oggi la questione e i rapporti sono controversi e dibattuti. Va detto però che, come scrive Dino Messina, "gli istriani sono italiani due volte, una per nascita e una per scelta".
Per quanto riguarda le masserizie che si possono ammirare e toccare con mano nel Magazzino 26, è presente ogni tipo di oggetto, da prodotti farmaceutici del signor Marcolini, alla macchina per espresso Gaggia - un vero e proprio pezzo d'arte decò di cui una copia si trova al MOMA di New York -, da indumenti personali a quaderni, libri, giocattoli, stoviglie, specchi, attrezzi da lavoro di ogni tipo, strumenti musicali, biciclette, nonché mobili, tavoli e sedie. Dei tesori, anche se non d'oro e d'argento, che sono però senza prezzo perché sanciscono un ponte col passato che altrimenti andrebbe perduto.
Di estremo valore simbolico è una cornice vuota appesa ad una parete, atta a ricordare anche chi non ha più un nome né un volto ma che nondimeno è stato protagonista del periodo; degna di nota, anche l'ultima sala espositiva con una parete di specchi che riflettono i nomi stampati sulla parete opposta, nomi di soltanto alcune delle vittime delle foibe, così da poter dare loro un'immagine in cui riflettersi e riconoscersi.
Di eguale importanza è la grande quantità di sedie accatastate le une sulle altre che hanno ispirato Simone Cristicchi per il suo spettacolo teatrale durante la sua prima visita, ancora nel Magazzino 18, e che provoca in chiunque le veda un impatto emotivo indescrivibile.
Infatti, una sedia da sola rappresenta l'individuo, un gruppo di sedie sono una comunità, quella istriana-fiumano-dalmata, mentre delle sedie ammassate sono il riflesso globale di chi ancora oggi è costretto ad abbandonare le proprie terre.
Cristicchi stesso, infine, rende omaggio attraverso una di queste tante sedie a Norma Cossetto, giovane donna divenuta simbolo della strage delle foibe, che fu arrestata, seviziata e torturata da 17 aguzzini per poi andare incontro al suo destino.
"Il compito che mi sono preposta è molteplice. Faccio il mio lavoro per riscoprire le mie radici ma anche per dare la possibilità ai giovani della terza generazione e oltre di conoscere questo pezzo di Storia spesso evitato o persino ignorato, e perché penso sia giusto andare avanti nel futuro senza andare oltre il passato", conclude l'esperta, "e ovviamente, rendo mia anche la missione dell'IRCI, ossia quella di conservare, divulgare e valorizzare il patrimonio storico-culturale dell'Istria, Quarnero e Dalmazia nella sua totalità, complessità e ricchezza".
Per visitare il rinnovato Magazzino 18 è possibile prenotare una visita chiamando al numero dell'IRCI 040639188 o scrivendo all'indirizzo email irci@iol.it .
Per maggiori informazioni, il link affiliato con il sito dell'istituto: http://www.irci.it/irci/index.php/it/
Inoltre, dal 15 al 19 febbraio, nonché la settimana dopo il 10 febbraio, come ogni anno l'IRCI organizza le porte aperte al Magazzino 18, ossia ogni giorno sono previste visite guidate a gruppi di 25 persone, alle 10:30 e alle 12.00, ciascuno previa prenotazione.
Si ringrazia l'IRCI e la dottoressa Giovanna Penna per la disponibilità e la professionalità dimostrata per l'occasione.
Foto e video: Elisa Sossi