Slogan shock contro agenti uccisi, Trieste antifascista: «Linciaggio mediatico contro manifestanti»

«Sabato 16 novembre si è svolto un presidio davanti al carcere di Trieste, per comunicare con le persone detenute e manifestare contrarietà alle strutture di detenzione totale. Tante e tanti di noi quel giorno erano presenti. La società è spinta a non riflettere sulle cause che portano alle detenzioni e le carceri vengono generalmente percepite come contenitori di persone pericolose per la nostra incolumità. I dati ci dicono invece che questi luoghi sono affollati da persone che socialmente "valgono" poco, e che in molti casi sono giudicate colpevoli di reati minori. Le testimonianze ci raccontano che le carceri sono luoghi terrificanti, in cui si viene private di libertà, aria e amore e dove gli abusi da parte delle guardie delle strutture sono all’ordine del giorno. Luoghi così non hanno spazio nel mondo per cui lottiamo». Lo sottolineano in una nota Trieste Antifascista - Antirazzista, No Cpr e no frontiere - FVG, Collettivo Tilt - Resistenze Autonome Precarie, Comitato- BDS (boycotta disinvesti sanziona) Israele Trieste e Sinistra Anticapitalista FVG «Il carcere del Coroneo - ancora -  è una struttura sovraffollata, dove solo nell’ultimo anno sono morte due persone in modo sospetto, tra cui un ragazzo di 21 anni. Queste morti sono state liquidate rapidamente dalle testate locali e nemmeno citate dalle testate nazionali. Il presidio di sabato scorso ha trovato invece ampio spazio sui giornali, dopo che l'assessore Roberti ha condiviso il video di un intervento, esponendo chi l'aveva letto al microfono a un linciaggio mediatico. Vi invitiamo ad ascoltare quelle parole. Quell’intervento rimarca che la sparatoria che ha portato all’uccisione dei due poliziotti è un dramma sociale, non un dramma di Stato, e ricorda che tutte le vite sono uguali. Ragiona su come le morti di Riccardo Rasman ucciso nel 2006, Alina Bonar Diaciuk nel 2012 o Pedro Greco nel 1985 non abbiano portato alle stesse commemorazioni, nonostante fosse coinvolta anche in quei casi la polizia di Trieste. Si domanda perché non è nato lo stesso sconforto sui giornali per la morte sul lavoro di Roberto Bassin in porto a settembre o per le morti che stanno avvenendo lungo i confini o in carcere. Si chiede se queste morti non meritino lo stesso dolore e la stessa rabbia». «Noi - viene riferito - ci riconosciamo nei ragionamenti proposti in queste parole. L'intervento dà poi un'opinione sulla funzione politica del lavoro della polizia e sulla decisione di svolgere quel lavoro. Pensiamo non si debba aver paura di parlare di questi temi e che sia gravissimo che chi ha avuto il coraggio di parlarne alle persone detenute stia subendo una gogna mediatica. Purtroppo conosciamo bene la tecnica del linciaggio mediatico, utilizzata sempre più spesso dagli esponenti di alcuni partiti, in particolare contro le donne o contro certe aree politiche». «Noi - conclude -  crediamo che quel tentativo di linciaggio mediatico non avrebbe dovuto essere rilanciato dai giornali. Crediamo che questo tipo di giornalismo morboso abbia forti responsabilità nella catastrofe umana che ci circonda, lo vediamo qui, lo vediamo con la retorica del clandestino che ci invade o con gli stupri che valgono la pena di essere raccontati solo se commessi da persone non comunitarie. Crediamo sia ora di pensare a come porre fine a questo tipo di giornalismo. Siamo solidali con chi era al presidio di sabato 16 e con chi ha parlato. Se toccano una, toccano tutte!»