Muggia, 800 presenze per la mostra “Il battaglione alma vivoda”: scoperti due partigiani in vita

Quasi 800 presenze. È questo l’importante numero di visite registrato da “Il Battaglione Alma Vivoda”, mostra ospitata in sala Negrisin e organizzata dall’ANPI VZPI sezione “G. Marzi” della città istroveneta in occasione delle celebrazioni per il 73° anniversario della Liberazione dal nazifascismo.

“Queste storie devono essere raccontate sempre più, per tenere viva la memoria e gli eroi di quei giorni”, “Grazie per averci regalato un pezzo di storia, di patriottismo, di coraggio che possa essere un momento di riflessione per tutti noi”: sono queste alcune delle dediche lasciate da visitatori provenienti da tutta Italia, ma anche da diversi visitatori stranieri, tra i quali per lo più sloveni e austriaci (Graz e Vienna in particolare).

Da poco conclusasi, la mostra esponeva parte dei documenti conservati da Gino Fontanot (scomparso il 13 luglio 2017) e recuperati dall’ANPI VZPI sezione “G. Marzi” su desiderio dello stesso militante antifascista, che aveva attivamente partecipato alla lotta partigiana nel Battaglione Vivoda, dove era stato commissario della prima compagnia col nome di battaglia di “Clipper”. Sindacalista e dirigente del Partito Comunista, consigliere comunale prima e provinciale poi, Fontanot conservava un archivio di ben 302 schede di partigiani facenti parte del Battaglione.

Tra queste schede è stata trovata anche quella di Lidia Zupin, scomparsa lo scorso 10 marzo all’età di 96 anni, che aveva anche di recente ricordato -pubblicamente e a mezzo stampa- i momenti peggiori di quel periodo della sua vita, quando, insieme ad altri combattenti, si nascondeva nei boschi dell'Istria dai soldati tedeschi. Esperienze difficilissime vissute in un periodo postbellico molto duro che ricordava sempre con commossa partecipazione e restando fermamente convinta di aver fatto la scelta giusta. Una donna forte, che si raccomandava con le nuove generazioni di mantenere vivo il ricordo di tutti quelli, che negli anni più bui hanno sacrificato tutto per la libertà.

Una donna che si credeva essere l'ultima partigiana del Battaglione Alma Vivoda.

Si credeva perché in realtà, proprio grazie a questa mostra, si sono scoperti altri due partigiani ancora in vita: Elvio Russignan e Giuseppe Della Valle, entrambi novantunenni.

Il primo, nato a Muggia, svolgeva la professione di tornitore. Corriere del Battaglione fino all’ottobre del ’44 con il nome di battaglia Azim, aveva prima prestato servizio nella fanteria.

Come Russignan, ma originario di Capodistria e meccanico, anche Della Valle aveva 17 anni appena compiuti quando il 24 luglio 1944 entrò a far parte del Battaglione Vivoda; guadagnatosi il titolo di sergente diede prova del proprio valore anche in altri Battaglioni (“Triestina”, “Fontanot”, ecc) fino al 29 giugno 1945.

 

E proprio Della Valle si è reso disponibile per portare la propria testimonianza anche nelle scuole appoggiando il progetto di coinvolgimento degli istituti scolastici che l’ANPI VZPI sezione “G. Marzi” vorrebbe realizzare prossimamente.

Un disegno che prevede anche lo sviluppo e l’ampliamento di quanto esposto in questa occasione, avvalendosi della grande quantità di materiale ancora conservato e di tutto quello che, proprio grazie a questa mostra, è “emerso”. Non solo molti famigliari che hanno visitato l’esposizione si sono offerti di mettere a disposizione ulteriori documenti in loro possesso, ma la mostra ha permesso, attraverso un visitatore, un collegamento con un'altra esposizione del maceratese che si è scoperto annoverare anche donne muggesane al confino.

Istituito dal Regime Fascista nel 1926, il confino fu una delle misure adottate per garantire la “sicurezza nazionale”. Un provvedimento che non colpì solo gli uomini e che, applicato spesso arbitrariamente, senza processo, né tutele legali ed onere della prova, senza –molto spesso- aver commesso alcun reato, imponeva l’allontanamento in precise zone d’esilio.

In Italia, dal ‘26 al ’43 funzionarono 262 colonie di confino nelle quali finirono un numero enorme di uomini e donne. Come nel caso delle 23 donne di Muggia condannate a 5 anni di confino per avere protestato in piazza e le cui storie sono state raccolte e raccontate a Macera.