La Fotosintesi Artificiale, su Nature Chemistry collaborazione internazionale: c'è anche Trieste!

Immaginiamo un tessuto soffice, elastico e poroso, che si auto-assembla galleggiando sull’acqua, e nel fare questo assorbe e immagazzina l’energia solare per produrre ossigeno e idrogeno dall’acqua che lo circonda. E pensiamo che questo è esattamente quello che la Natura è riuscita a ingegnerizzare nel corso di miliardi di anni, per darci ossigeno, energia e il nutrimento di cui abbiamo bisogno per vivere, insieme ai fiori e i frutti delle piante.

Il cuore della fotosintesi, la scissione dell’acqua nei suoi componenti, idrogeno e ossigeno, è un processo estremamente difficile con dispositivi artificiali. Oltre 100 anni fa, due grandi geni avevano già immaginato tutto questo: “l’acqua sarà il carbone del futuro” (Jules Verne, L’Isola Misteriosa, 1874) “una civiltà più moderna, basata sull’uso dell’energia solare che non sarà pericolosa per il progresso e la felicità umana”, (Giacomo Ciamician, The Photochemistry of the Future, Science 1912). Oggi sappiamo che la ricerca per i combustibili solari non è procrastinabile e che non possiamo aspettare una risposta dalla lenta evoluzione dei sistemi biologici.

Il lavoro nato da una collaborazione internazionale e diretto dalle Università di Padova e Trieste, segna oggi un passo in avanti decisivo. I risultati, pubblicati nella prestigiosa rivista Nature Chemistry, identificano alcuni componenti essenziali, una specie di “mattoncini Lego”, con i quali costruire un’architettura a più livelli, con una funzione simile a quella della foglia naturale. L’idea non è di creare una replica del perfetto sistema naturale, al contrario, quello che si propone è un approccio divergente, che esplori alternative artificiali disegnate con componenti robusti, versatili e regolabili, pronti per essere utilizzati su larga scala per applicazioni reali.

Jean-Pierre Sauvage dell’ISIS di Strasburgo, Premio Nobel per la Chimica nel 2016, ricorda che “la scissione dell’acqua è un obiettivo talmente importante da essere al centro di un lavoro intenso di ricerca in tutto il mondo. Io stesso ho lavorato sull’argomento, con lo scopo di imitare il processo naturale, e posso dire che si tratta di una sfida ardua, con problemi difficilissimi ancora irrisolti. il lavoro di Bonchio, Prato e collaboratori apre una nuova prospettiva, e nuove possibilità. Il sistema supramolecolare, che si auto-organizza in forma, struttura e dimensioni, semplicemente assemblando un catalizzatore molto robusto e una antenna di sensibilizzatori ci mostra una nuova direzione per la fotosintesi artificiale.

Il lavoro di ricerca stabilisce un nesso fra la catalisi biomimetica e le nanoscienze. “Nel nostro primo lavoro (Nature Chemistry 2010), avevamo promesso di arrivare al sistema attivato dalla luce”. Maurizio Prato, professore di Chimica Organica presso l’Università di Trieste, uno dei massimi esperti per la sintesi di materiali nanostrutturati di carbonio, mette in risalto il passo avanti compiuto adesso: “abbiamo usato un semiconduttore molecolare organico, robusto e versatile per costruire nuovi fotoelettrodi che lavorano con fotoni a bassa energia”.

Marcella Bonchio, professoressa presso il Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Padova e responsabile del laboratorio dove si studia la conversione dell’energia solare a partire dall’acqua. “Siamo risaliti ai primi studi di Emerson and Arnold (1932) and Park and Biggins (1964), e abbiamo capito quali sono i requisiti essenziali del sistema, da lì è partita la nostra ricerca del quantasome artificiale” Bonchio precisa che il “quantasome” è l’unità base responsabile della conversione dei fotoni solari. “l’abbiamo costruita mettendo insieme un modulo antenna che cattura l’energia solare integrata con un catalizzatore metallico che agisce generando ossigeno dall’acqua”.

Nicola Armaroli, direttore di ricerca presso l’istituto ISOF-CNR di Bologna, e riconosciuto a livello internazionale per il suo impegno nel campo delle energie rinnovabili e della conversione di energia solare, commenta: “L’auto-organizzazione spontanea del sistema dai componenti isolati è affascinante, si forma un’architettura multistrato che immagazzina l’energia dei fotoni. Questa è la stessa strategia utilizzata dal sistema naturale”

Il nuovo materiale può essere reso generale per altre funzioni, non solo per fare ossigeno. Questa è la prospettiva che auspica Markus Antonietti, direttore del Max Planck Institute di Postdam, Germania. Antonietti commenta: “Sono stato tra i primi a conoscere I risultati sulla scissione dell’acqua ottenuti a Trieste e Padova, e sono quindi sicuro che una svolta importante ci sarà quando lo stesso sistema potrà essere applicato anche per la sintesi di altri prodotti con potenzialità di mercato”.

Il lavoro di ricerca ha coinvolto le università di Ferrara e Messina, gli istituti ITM e ISOF del CNR, il Sincrotrone@Elettra di Trieste, the Graz University of Technology, the University of Erlangen, Germany, e il centro di ricerca CIC BiomaGUNE, San Sebastian, Spain.